yoga sutra I, 4

Eccoci con l’ultimo articolo di questa prima serie sugli Yoga Sutra, in cui abbiamo iniziato ad approfondire i primi quattro versi di Patanjali, che racchiudono il senso della nostra pratica.

Abbiamo visto (YS, I,1) che per parlare dello yoga bisogna averlo compreso in profondità, poichè è una disciplina in cui la pratica è estremamente importante, e che solo nel qui ed ora lo yoga esiste.

Il secondo verso (YS I,2) descrive tecnicamente lo yoga come ciò che avviene/rimane quando mente e corpo sono in un silenzio profondo, diverso dal mero silenzio di parole.

Il terzo splendido verso (YS I,3), affronta un tema importante: lo yoga non è in realtà l’acquisizione di nuove abilità, ma l’eliminazione di confusione.

Per noi che lavoriamo principalmente con il corpo e le asana questo può essere difficile da comprendere, visto che nello scorrere della pratica c’è un ovvio progresso fisico, da posizioni semplici a posizioni complesse. C’è nel viaggio una “conquista” di asana che prima sembravano impossibili (sospensioni, spaccate, gambe dietro la testa ecc), ma questa non deve distrarci dal vero viaggio, che appunto non è un raggiungimento (che implica l’andare da un posto in cui siamo ora verso un luogo in cui ancora non siamo), ma una realizzazione (quindi una scoperta o riscoperta di ciò che siamo sempre stati).

A questo punto, il discorso sembra concluso e devo dirti che per lungo tempo questo è stato il mio pensiero: il quarto verso mi sembrava poco più di una chiosa, così come il primo mi sembrava solo una introduzione, ma ovviamente non è così!

 

Vrtti sarupyam itaratra

“In tutti gli altri casi c’è identificazione tra il veggente e le vrtti, le modificazioni mentali ed emozionali”.

Ricordiamo il senso di vrtti come vortice, mulinello, fluttuazione.

Il contenuto interiore (mentale ed emozionale) è sempre mutevole, e la mente rimane preda di queste continue fluttuazioni.

Per una persona “comune”, poco avvezza all’osservazione profonda che avviene durante la pratica, la maggior parte di queste correnti rimane appena sotto la superficie della coscienza.

Non è raro che quando una persona si avvicina alla meditazione, nel rimanere seduta in silenzio si senta travolta da un numero maggiore di pensieri. Alcune persone arrivano a dire “la meditazione evidentemente non è per me, sono più agitato quando medito che quando non medito”.

Il compito dell’insegnante a quel punto è quello di spiegare che in realtà nel rimanere in silenzio stanno dando spazio a tutti quei pensieri e quelle emozioni che di solito passano inosservate, ma il numero di pensieri è evidentemente lo stesso.

Sarupyam: “sa” in sanscrito è “con” e “rupa” è “forma”, quindi l’idea di base è andare con la forma, prendere la forma, da qui l’idea di identificazione. Il veggente prende la forma della vrtti.

Invece di rimanere osservatore puro, coscienza indistinta, si forma l’idea dell’ego, di un sé che sperimenta gli eventi, i pensieri e le emozioni. Un “io” che rimane preda di pensieri e desideri, avvolto dalla corrente di questo fiume che si chiama vita.

L’esistenza dell’ego è un punto fondamentale, che non può essere racchiuso in un post, e probabilmente non può essere racchiuso solo con le parole, ti invito davvero a sperimentare nella pratica meditativa la realtà della mente.

Per ora possiamo rimanere nella idea che la mente rimane catturata da emozioni e pensieri, positivi o negativi.

Itaratra vuol dire “le altre volte”, e si riferisce al verso precedente:

yoga avviene quando il veggente riposa nella sua propria natura, tutte le altre volte c’è identificazione con le vrtti (il veggente si identifica con pensieri ed emozioni).

Itaratra è una parola estremamente forte, in questo contesto, perché non dà scampo!

Già in precedenza abbiamo fatto un esempio dal Tao Te Chjng. Nelle sue pagine troviamo un’altra frase che è adatta a questo sloka: Lao Tse dice: “basta fare la più piccola differenza, ed ecco apparire paradiso e inferno!”.

Come Lao Tse, Patanjali esprime una realtà semplice ma profonda: fino a che non usciamo dall’illusione, saremo sempre nella dualità.

Ad un certo livello, non è importante quanto una persona sia “buona” (è ovvio che sia importante), perchè fino a che la persona non esce dalla dualità, ci sarà sempre il rischio di cadere ancora nel “cattivo”.

La stessa cosa la vediamo, più in grande e quindi più evidente, nella società.

Non importa quanto l’essere umano si avventuri nello spazio e alla scoperta dei segreti della materia e del dna (certo che importa, è fondamentale!), ma fino a che non uscirà dalla mentalità piccola e meschina dell’ego (e oggi abbiamo l’evidenza di questo comportamento nei fondamentalismi religiosi, in Trump, nei creazionisti e in generale nella società consumistica), come “homo sapiens” saremo sempre una specie in pericolo di estinzione.

Sono fermamente convinto che la nostra unica salvezza sia un’educazione profonda nella realtà della nostra mente, nella crescita spirituale che porta comprensione e compassione.

ci vediamo nella pratica e, come insegna Patanjali, nel qui ed ora!

namaste

 

 


There is one comment

  1. Francesca

    Penso che queste tue analisi o letture dei sutra siano da rivedere piú di una volta perché sento che hanno bisogno di una certa elaborazione,almeno ,sento che questo é quello che fa per me,.
    Grazie
    Francesca

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